Specchio della letteratura delle origini sono i "libri sapienziali", formati cioè da massime o insegnamenti che dovevano suggerire al lettore il giusto comportamento da tenere nella comunità. Il più antico è il cosiddetto Insegnamento di Ptahhotpe, un funzionario della V dinastia che si prefiggeva di trasmettere al figlio i principi di una condotta confacentesi a un alto funzionario: una specie di "guida pratica" al successo, dunque, che si può ottenere con una buona istruzione, il rispetto delle gerarchie e la moderazione. Quest’opera ebbe larga fortuna nelle età successive insieme a un altro libro di sapienza: le Massime di Kagemmi. Nell’Età Feudale si precisa una nuova tematica che è data dal dubbio e dibattito; infatti, il problema è se valga più vivere nel mondo con le sue amarezze e delusioni, o morire e passare a un aldilà la cui beatitudine, benché ormai proclamata, è tuttavia dubbia. Sono i toni tragici del Dialogo del Disperato con la sua anima, o del Canto dell’Arpista, dove la considerazione della caducità delle cose induce all’amara esortazione di cogliere quanto di buono dà il presente. Infine, una descrizione dell’Egitto sconvolto dalle discordie alla fine dell’Antico Regno, con carestie, rivoluzione, ruberie dovute all’inettitudine del sovrano, appare vivida e realistica nelle Lamentazioni di Ipu.